Denis Sassou Nguesso ancora presidente in Congo dopo 32 anni di potere

Denis Sassou Nguesso ancora presidente in Congo dopo 32 anni di potere

La reinvestitura di Denis Sassou Nguesso in Congo si è svolta sabato a Brazaville. Dopo 32 anni di potere, il presidente giura di rispettare la Costituzione e inneggia alla democrazia. Mentre la repressione continua.

bandiera congoSembra un scherzo, o una satira. Tanto perfido quanto banale. Eppure non lo è, e suona più come altro come un insulto. Sabato 6 aprile, alla presenza di altri capi di Stato africani, Denis Sassou-Nguesso, 72 anni, ha dichiarato durante la sua ennesima investitura come presidente del Congo: «Le elezioni hanno avuto luogo. Una nuova epoca inizia, e deve essere un’era di pace e di concordia. Oggi non celebriamo la vittoria di un candidato eletto più fortunato di altri, ancora meno il trionfo di un partito politico su altri: celebriamo la vittoria della democrazia, la vittoria del Congo».

“Vince” la democrazia, quindi. Peccato che a trionfare sembra essere quella personale di Denis Sassou Nguesso. Che ha giurato fedeltà alla Costituzione: quella che lui stesso aveva cambiato il 25 ottobre scorso per potersi ancora ripresentare come candidato alle presidenziali. Ne avevamo già parlato, di questo, giusto una decina di giorni prima delle elezioni nel paese, che si sono tenute quel famoso e importante giorno nell’agenda africana, il 20 marzo scorso.

Vi aggiorno ora sul seguito. È successo che le elezioni si sono svolte, quella domenica, nell’oscuramento totale. Il paese è piombato nell’isolamento, verso l’esterno e non solo: tagliato internet, ma in alcuni casi anche i telefoni.«Ha tagliato tutto, eccetto Tv e radio, anche se alcuni membri dell’opposizione non hanno avuto neanche accesso alla televisione!», mi aveva scritto sulla chat il rapper Martial Panucci, portavoce del movimento Ras-le Bol, qualche giorno dopo.

Qualche giorno dopo, i risultati delle elezioni. Denis Sassou Nguesso è dichiarato vincitore con più del 60% dei voti. Nella settimana che segue, come riporta Radio France Internationale (Rfi), mentre il nuovo vecchio presidente si felicita della vittoria, l’opposizione non accetta i risultati e grida alla frode, qualche reporter di Monde e Afp (Agence France Presse) viene malmenato prima di vedersi sottrarre il proprio materiale di lavoro da degli agenti in borghese, una conferenza stampa dell’opposizione viene impedita dalla polizia. Il 27 e 28 marzo, i primi arresti di alcuni membri dell’opposizione. Che si divide tra chi vuole presentare ricorso sui risultati elettorali e chi lancia un appello alla popolazione a protestare pacificamente, attraverso la disobbedienza civile.

Il 29 marzo, opposizione e società civile organizzano allora una giornata “Ville morte”, uno sciopero generale. Poi, l’inizio del peggio. La notte tra il 3 e il 4 aprile, Brazaville si sveglia per uno scambio di colpi di arma da fuoco tra uomini in borghese armati e le forze di sicurezza. Le autorità sostengono che gli assalitori sono degli ex ribelli al seguito del reverendo Pastore Ntumi, ex capo ribelle che si era in seguito alleato con Sassou Nguesso, per poi finire di nuovo nel campo avversario nelle elezioni appena avvenute. Con questo, le autorità cercano di giustificare l’escalation repressiva dei giorni seguenti: degli elicotteri saranno infatti inviati a “bombardare” con delle granate alcuni villaggi a sud di Brazaville, considerato la roccaforte del Pastore Ngumi. La reazione violenta delle autorità provoca la fuga di molti civili mentre altri, secondo alcune testimonianze su Rfi non confermate (la situazione è caotica ed è difficile per i media averne notizie), sarebbero stati uccisi. Da parte mia, è sempre Martial Panucci a informarmi: «Molti innocenti sono morti e continuano a morire perchè certi villaggi non sono in ras le bolalcun modo in contatto con le persone a cui il governo pretende dare la caccia. Ho ascoltato molte testimonianze a proposito!», mi scrive. «Io e il mio gruppo continuiamo a essere minacciati e abbiamo dovuto lasciare casa nostra. Gli agenti delle milizie del potere vengono a cercarci ad ogni istante! Noi condanniamo queste azioni del potere che dopo aver imbrogliato alle elezioni si mette a uccidere i congolesi senza ragione. Abbiamo fatto appello alla fine di questi bombardamenti ciechi e ingiustificati in una dichiarazione il 7 aprile», continua Panucci.

Alla fine della settimana scorsa, alcune Ong locali come Caritas e l’Osservatorio congolese dei diritti dell’uomo (Ocdh), hanno iniziato a far sentire la propria voce; a livello internazionale, la Croce Rossa Internazionale e l’Onu non riescono ad accedere al luogo.

Giusto appunto…e la comunità internazionale in tutto questo?

Inizia ora a inquietarsi, sembra. Ma se Unione Europea e gli Stati Uniti avevano espresso subito dubbi sulla credibilità dei risultati delle elezioni, la Francia finora non si è ancora pronunciata. E la cosa inizia a fare rumore. Se già il Partito Socialista francese aveva contestato l’esito degli scrutini, François Hollande è stato interpellato il 15 aprile a tal proposito dalla Ong Tournons la page. Sempre sulle onde di Rfi, Jean Merckaet commenta infatti: «la Francia ha tergiversato per molto tempo sul governo di Brazaville. Questo fatto è stato interpretato dalla popolazione come un’autorizzazione concessa alle manipolazioni. È tempo che la Francia esca dal suo torpore, dalle sue mezze misure, per adottare una posizione coraggiosa: una condanna pubblica senza ambiguità delle violenze della repressione, un appello alla pubblicazione e a un nuovo conteggio dei risultati delle elezioni, poichè il 60% attribuiti al presidente uscente assomiglia tanto a una farsa agli occhi della popolazione congolese. (…) È difficile comprendere che la Francia, che pretende di condurre una guerra contro il terrorismo, continui a prestare man forte militare a una forma di terrorismo di Stato che è praticata dal governo congolese»

Questo, insomma, il triste quadro della situazione. Questo il contesto politico attuale di un paese tra i più grandi produttori di petrolio d’Africa (secondo le statistiche dell’Itie – dall’oro nero derivano l’80% del reddito del governo e il 90% delle esportazioni), in cui quasi la metà dei 4 milioni e mezzo di abitanti vive sotto la soglia della povertà (dati della Banca Mondiale), e continua a subire gravi violazione dei diritti umani e di ogni tipo di libertà da parte dal longevo regime in carica, presieduto da uno dei tanti dinosauri d’Africa troppo avvezzi al potere. E che conferma agire in nome delle democrazia.

 

 

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